Non ho mai ben capito la necessità degli studiosi di letteratura di attribuire a Giacomo Leopardi vari tipi di “pessimismo” – “individuale”, “storico”, “cosmico”, “eroico”, etc. – e non ho mai ben capito in che, questi pessimismi, consistano.
Soprattutto, non ci ho mai visto quel qualcosa di speciale che lo possa distinguere da qualsiasi essere pensante e consapevolmente pensante. Nella vita c’è poco da stare allegri – per chiunque, figuriamoci per qualcuno che qualche problemuccio l’aveva di sicuro.
Se, comunque, lo si ritenesse pessimista-pessimista che più pessimista non si può perché non trovava un senso nella vita stessa, bisognerebbe anche ricordarsi del fatto che il “senso” – nelle parole, nelle cose, nella vita – o ce lo mettiamo noi o non possiamo pretendere di trovarcelo lì bello e fatto.
Tra le tante e varie espressioni del pessimismo – e continuiamo pure a chiamarlo così anche se, in definitiva, è semplicemente consapevolezza di come vanno le cose al mondo – di Giacomo Leopardi, ci sono le Operette morali – scritte tra il 1824 e il 1832 – dove non poteva mancare il caso di una scommessa che, in quanto tale, è l’evento tipico in cui, a dire il vero – tutto al contrario di quel che solitamente si sostiene – si rappresenta tutto l’ottimismo di cui siamo ancora capaci – perché se non nutrissimo la speranza di vincere, non giocheremmo.
Nell’anno “ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove” – così inizia La scommessa di Prometeo – il “collegio delle Muse” indice un concorso cui sono invitati a partecipare tutti gli Dei che si fossero distinti per “qualche lodevole intenzione”. In palio, purtroppo – sarà qui il primo indice di pessimismo -, dati i tempi di vacche magre, c’è soltanto un rametto di alloro da mettersi in testa, ma ciò nonostante, si ottiene una certa partecipazione e si arriva alla proclamazione dei vincenti.
Più di uno perché nessuno accetta il premio. Non lo accetta Bacco, premiato per l’invenzione del vino; non lo accetta Minerva, premiata per l’invenzione dell’olio ad uso estetico, quello con cui ci si ungeva il corpo e non lo accetta neppure Vulcano che vantava l’invenzione della pentola di rame, utilissima, si sa, per polenta e minestroni.
Su questa triste vicenda avrebbe più tardi meditato Prometeo (il cui nome significa “quello che ci pensa prima”), lamentandosene con Momo (un criticone, il cui nome significa “biasimo”). Ma come, pare abbia detto, hanno premiato il vino, l’olio e una sciocchezzuola come la pentola di rame e non hanno premiato l’invenzione della specie umana? Com’è possibile una giuria tanto scema? E’ indubbiamente l’umanità la migliore delle invenzioni.
Al che pare che Momo, come sua abitudine, abbia avanzato delle riserve su questa indignazione prometeica e fatto sta che, tra i due, si arriva ad una scommessa: sarebbero scesi in terra e Prometeo avrebbe avuto a disposizione cinque luoghi a sua scelta per dimostrare come l’uomo “sia la più perfetta creatura dell’universo”.
Detto e fatto, ecco dunque l’entusiasta Prometeo e il scettico Momo aggirarsi per il pianeta in cerca di visioni edificanti. Inutile dire che non ne trovano; finiscono perfino con l’imbattersi, in una Londra in forte anticipo su Jack lo squartatore, in un padre che, salvando per tempo il cane, prima ha ammazzato i propri bambini e poi ha rivolto l’arma contro se stesso. A causa di qualche sciagura – si informa Prometeo -, a causa della povertà, a causa di una malattia, a causa di un amore andato a male, a causa del pubblico disprezzo? No – gli rispondono – “per tedio della vita”, tutto lì.
Detto e fatto, ecco dunque l’entusiasta Prometeo e il scettico Momo aggirarsi per il pianeta in cerca di visioni edificanti. Inutile dire che non ne trovano; finiscono perfino con l’imbattersi, in una Londra in forte anticipo su Jack lo squartatore, in un padre che, salvando per tempo il cane, prima ha ammazzato i propri bambini e poi ha rivolto l’arma contro se stesso. A causa di qualche sciagura – si informa Prometeo -, a causa della povertà, a causa di una malattia, a causa di un amore andato a male, a causa del pubblico disprezzo? No – gli rispondono – “per tedio della vita”, tutto lì.
Al che Prometeo si arrende e Momo – prima di incassare la scommessa – ne approfitta per ricordargli che “nessun altro animale fuori dell’uomo, si uccide volontariamente esso medesimo, né spegne per disperazione della vita i figliuoli”.
Leopardi non ci dice che cosa avevano scommesso e anche questo, forse, potrebbe essere ascritto al suo pessimismo – un centesimo o un milione è lo stesso, quel che conta è che si perde.
Nonostante il suo nome Prometeo, ancora una volta, si dimostra poco avveduto. Passerà alla storia mitologica come quello che, inguaribile filantropo, ruberà il fuoco agli Dei per regalarlo alla specie umana – che, peraltro, ne farà pessimo uso – e, poi, si dovrà sorbire il castigo di Giove, che, com’è noto, quando si trattava di castighi, ci andava giù pesante.
Nonostante il suo nome Prometeo, ancora una volta, si dimostra poco avveduto. Passerà alla storia mitologica come quello che, inguaribile filantropo, ruberà il fuoco agli Dei per regalarlo alla specie umana – che, peraltro, ne farà pessimo uso – e, poi, si dovrà sorbire il castigo di Giove, che, com’è noto, quando si trattava di castighi, ci andava giù pesante.
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